Diego Menegon: Ed ora le riforme (e che siano impopolari!)

L’esito delle elezioni decreta una vittoria schiacciante della coalizione di centrodestra sotto il profilo sia dei voti, che dei seggi. Questo dimostra che non era solamente la legge elettorale, comunque da rivedere, a rendere l’Italia ingovernabile. Una democrazia può prendere decisioni se una linea è condivisa da una maggioranza chiara e coerente; requisiti che mancavano all’Unione, probabilmente non al futuro governo.

Per aggiudicarsi il Senato il centrodestra doveva prendere molti più voti del centrosinistra, dato che le regioni sovrarappresentate (che cioè hanno diritto, in virtù del dettato costituzionale, a sette seggi al Senato anche se sono scarsamente popolate) sostengono tradizionalmente le formazioni di sinistra. Silvio Berlusconi e la sua coalizione hanno vinto sulla carta e nel paese, insomma. Sembrava che il mancato accordo con l’UDC potesse compromettere la governabilità, mentre l’Arcobaleno rappresentava un’incognita al Senato. Superando la soglia avrebbe strappato numerosi seggi ai maggiori partiti concorrendo alla ripartizione dei seggi non compresi nel premio di maggioranza regionale. Invece, il PD ha beneficiato del crollo degli arcobaleno e dell’UDC, accaparrandosi gran parte dei seggi destinati all’opposizione; il PDL ha una maggioranza tale da non poter addurre alcuna scusa per i suoi eventuali fallimenti.

La Lega Nord ha sorpreso molti con il suo successo. Invero, pochi hanno colto il malessere del Nord, del Nord-est in particolare. Il settentrione ha votato Lega un po’ perché ha fatto suo il tema della sicurezza (col pericolo, talvolta, di alimentare la xenofobia), un po’ perché pur cercando la sicurezza, il nord diffida della destra sociale, un po’ perché gli amministratori della Lega hanno dimostrato spesso una discreta capacità di governo; ma soprattutto, la Lega ha guadagnato un terreno lasciato deserto da altre formazioni. A Walter Veltroni non sono bastate un paio di visite preelettorali per capire e attrarre. Fausto Bertinotti ha commentato i risultati elettorali ammettendo un errore della sinistra: quello di aver trascurato forse troppo la domanda politica dei lavoratori del Nord negli ultimi vent’anni. Questi, come sembrano dimostrare studi politici, si sono rivolti alla Lega.

La battaglia per il federalismo fiscale e una responsabilizzazione di chi gestisce il denaro del contribuente dà quella progettualità e quella visione d’insieme della società che la sinistra antagonista non sa più dare dopo il fallimento globale del comunismo reale. Proprio il federalismo fiscale potrebbe essere il primo passo del prossimo governo, che potrà partire, sin da subito, da una proposta di legge presentata dalla Regione Lombardia lo scorso autunno.

Durante il primo Consiglio dei ministri, tuttavia, si dovrebbe discutere dell’abolizione dell’ICI sulla prima casa e dei bonus bebè. E’ da auspicare che presto si parli anche di altre due questioni di grande importanza: 1. la detassazione degli straordinari, che allenterebbero la morsa dell’inflazione sui redditi dei lavoratori e incentiverebbero la produttività (da anni a rilento) e la crescita delle imprese, ma soprattutto 2. quelle misure che Berlusconi ha definito impopolari e che comporterebbero la riduzione della spesa pubblica.

I tagli e la riforma della pubblica amministrazione sono necessari a finanziare le misure di cui sopra e, se davvero incisivi, consentirebbero di portare alla luce non solo un tesoretto una tantum, da spendere in breve in una manciata di provvedimenti a pioggia, ma una grande occasione per alleggerire la pressione fiscale per l’avvenire. La stima manifestata da Berlusconi nei confronti di Pietro Ichino già prima delle elezioni può lasciar intendere la disponibilità ad un confronto che arricchirebbe la capacità riformatrice del PDL. Lo stesso Ichino è parso possibilista e potrebbe dare una mano a quanti intendano metter in atto le proposte che, da tempo, formula a livello “accademico”. Sembrano quindi esserci maggiori margini di manovra per misure, forse (ma non necessariamente) bipartisan, tese al miglioramento dell’efficienza della pubblica amministrazione, alla lotta contro i “nulla facenti” e alla riduzione degli sprechi. Con i numeri della nuova maggioranza, a maggior ragione se uniti ad un clima di collaborazione e responsabilità dellìopposizione, le misure “impopolari” sono un investimento (possibile e a rendimento certo) per il futuro dell’Italia.

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