Intervista ad Andrey Illarionov: C’erano una volta i liberisti russi

La transizione del potere in Russia da Putin a Medvedev equivale a dire che Kalinin, per oltre vent’anni presidente del presidium del Soviet, sia stato più importante di Stalin, il dittatore che in quegli stessi anni è stato segretario del partito comunista sovietico. Non è una provocazione, ma il pensiero di Andrey Illarionov, personalità di spicco dell’emigrazione russa che, in dissenso con l’attuale leadership del Cremlino, ha preferito come luogo d’esilio il mondo degli istituti di ricerca statunitensi alla ricchezza cool di Londra. “Certo, la carica più alta spetta a Medvedev, ma tutti sanno con chi si deve parlare quando si devono prendere decisioni importanti”.

Secondo lei Medvedev è un liberale? “Dovremmo prima metterci d’accordo sul significato di questo termine. Comunque sia, non credo lo sia, perché non è sufficiente essere gradito alla comunità imprenditoriale internazionale per essere un liberale”. Sono queste le parole dell’ex consigliere economico di Putin che ha affrontato senza reticenze la situazione presente e quella passata, rifiutando solo di rispondere alle domande legate al suo rapporto, politico e personale, con il presidente uscente.

Illarionov ha fatto parte del gruppo di economisti liberali che ha cambiato la Russia, anche se il termine in politica russa è una sorte di maledizione. I primi liberali sono stati i vari Gaidar, con il quale Illaroniov ha lavorato nel periodo 1993-1994, Chubais, eminenza grigia delle privatizzazioni, e altri riformatori caduti in disgrazia dopo aver messo in atto politiche orientate al mercato, conquistando supporto all’estero, ma non in patria. Illarionov non fa eccezione. Anch’egli di San Pietroburgo, come tutta la squadra di quarantenni che Vladimir Putin si è portato al Cremlino, Illarionov si è occupato delle politiche per lo sviluppo economico per conto del presidente, mentre i vari Kudrin, ministro delle finanze e unico superstite fra i liberali dopo il rimpasto di governo di settembre 2007, Gref, ministro dell’economia e del commercio che sembra abbia avuto una buonuscita di un miliardo di euro, e Zurabov, ministro della salute e dello sviluppo sociale, hanno avuto modo di avere incarichi diretti di governo. Questa è stata la squadra che ha dato l’input all’impressionante crescita economica della Russia (il Pil è raddoppiato dal 1998, come riconosce lo stesso Illarionov, anche se la produzione industriale nel 2007 in termini assoluti è stata inferiore a quella di inizio anni Novanta), che però paragonata a quella degli altri stati post-sovietici diventa imbarazzante in termini relativi. Infatti, da quando i siloviki, ovvero uomini degli apparati di sicurezza, hanno occupato la scena politica grazie a Putin, la Russia è cambiata e Illarionov, che non ha mai pienamente condiviso le loro politiche, ha deciso di rassegnare le dimissioni.

Da quel momento ha iniziato a criticare apertamente l’azione del governo, “perché un conto è vivere un un paese semi-libero, un altro è lavorare in un paese che è cambiato in questi anni ed ha smesso di essere libero. Io non mi riconosco più in questa Russia”. Era dicembre 2006, ma già da più di un anno gli era stato negato l’accesso alla televisione di stato, il mezzo di informazione più utilizzato dai russi. Era entrato nella lista dei cattivi del Cremlino, pur essendone un membro importante. Ora è stato indicato in un libro scritto dai Nashi (I nostri), un’organizzazione giovanile nata nel 2005 per prevenire le rivoluzioni colorate, come uno dei 7 nemici della Russia. Perché si è venduto agli americani, sostengono loro, visto che le sue critiche ora arrivano da Washington, D.C., dove Illarionov dall’ottobre 2006 è senior fellow del Cato Institute, un centro studi americano che promuove il libero mercato e una presenza dello stato ridotta al minimo in economia.

Non esattamente quello che accade in Russia. “Ho deciso di dimettermi da consigliere quando mi sono accorto che ormai i siloviki avevano instaurato un regime autoritario. Non ho mai condiviso la gestione del caso Yukos e l’arresto di Khodorkovsky, ma speravo che rimanendo dentro sarei riuscito a dare spazio ad una visione più liberale, anche se il mio campo era solo quello economico. Siamo riusciti a mettere in pratica alcune politiche liberali, abbiamo ripagato i debiti internazionali, anche se inizialmente ero l’unico a sostenere l’importanza di questa politica. Abbiamo introdotto una deregolarizzazione del sistema bancario, una tassa piatta sul reddito del 13%, che ha contribuito a ripagare il debito estero, abbiamo creato il Fondo di Stabilizzazione del Petrolio, e abbiamo reso la Russia membro a tutti gli effetti del G8”.

Ma qual è, secondo lei, il vero problema della Russia odierna? “La Russia soffre di quello che io chiamo il male dello Zimbawe, perché dal 1991 ad oggi le libertà civili e i diritti politici sono stati calpestati, se non distrutti, proprio come accade in Zimbawe. E questo nonostante la crescita economica avrebbe dovuto e potuto favorire il miglioramento di quese libertà. Il sistema di potere dei siloviki ha solo impresso una svolta autoritaria allo sviluppo della Russia: nell’attuale burocrazia governativa, il 77% proviene dagli apparati di sicurezza e solo il 23% dal servizio civile: questo non è un paese normale”. Però non si può negare che la crescita economica, cui lei ha contribuito, abbia favorito una diffusione del benessere e il sorgere di una classe media. “Dal mio punto di vista la classe media ancora non esiste. La Russia è il mercato più grande per la vendita di BMW, macchina diffusa soprattutto fra i burocrati di stato. Se i salari medi sono quelli che conosciamo, come è possibile? Questo non è un buon segno. Paradossalmente, quando la Fiat sarà la macchina più diffusa, allora inizierò a credere che esiste una classe media, che può permettersela grazie al salario. E faccia attenzione: i siloviki non hanno un disegno strategico nelle loro nazionalizzazioni, perché l’unico interesse è far tornare sotto controllo statale tutti i settori dell’economia che permettono di incassare denaro liquido. Come ha detto un politico russo, la Russia è un’azienda di stato e con le elezioni si scelgono i top managers di questa azienda di stato”.

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